giovedì 21 aprile 2011

RISO NUDO














Il riso ha un guscio come l’uovo, che lo protegge e lo conserva, e per essere consumato come alimento deve subire un trattamento che lo liberi da questa protezione non commestibile. Anche altri cereali come il grano e la segale hanno queste protezioni, ma vengono tolte durante la trebbiatura perché non sono aderenti alla cariosside come quella del riso. Questo involucro protettivo è formato da una serie di pellicine compresse chiamate glumelle. La lavorazione si svolge in varie fasi dove il chicco di riso viene svestito delle sue parti esterne per giungere alla sua parte bianca e amidacea come è comunemente conosciuto .
Il sistema di lavorazione del riso tra il XV secolo, momento in cui la sua coltivazione prende piede nelle zone della pianura padana come cereale destinato all’alimentazione umana, e la metà del XIX secolo, non ha subito grandi modifiche sostanziali ma solamente qualche miglioramento.
All’inizio il riso veniva lavorato servendosi di un grande mortaio di pietra al cui interno veniva messo il riso grezzo per essere poi battuto con un pestello di legno,in questo modo il riso perdeva la sua parte esterna non commestibile. Nel corso dei secoli questo sistema è stato migliorato,la buca del mortaio di pietra ha assunto una forma ellissoidica, e il movimento del pestello è stato meccanizzato grazie all‘utilizzo della forza motrice derivante dai corsi d’acqua. La forza motrice dell’acqua faceva salire il pestello chiamato anche pistone e poi questo veniva lasciato cadere nella buca del mortaio chiamata pila, senza che andasse a battere contro il fondo della stessa,in questo modo il risone veniva movimentato andando a toccare contro le pareti in granito della pila così da sgusciarsi e così si lavorava fino a che non era arrivato al giusto grado di pulitura. In un secondo momento il contenuto della pila era tolto e vagliato con due diversi vagli i quali servivano a togliere: la lolla costituita dal guscio,la pula risultante dagli strati esterni del riso,il germe e i risi spezzati. Il risultato di questa vagliatura era il riso lavorato che poi veniva commercializzato.
Durante il XIX secolo avverranno molti cambiamenti per quanto riguarda la lavorazione del riso. Lo sviluppo tecnico e tecnologico ed i mutamenti economici e politici dell’epoca diedero un impulso decisivo per introdurre nuove macchine che inizialmente lavoravano affianco ai vecchi sistemi di pilatura ma nel giro di alcuni anni presero il posto dei sistemi ormai datati. La lavorazione del riso non avrà più una dimensione solo locale, artigianale, ma attirerà l’interesse dell’industria che contribuirà in maniera determinante a cambiare il ciclo produttivo della sua lavorazione. Grande impulso ai cambiamenti lo diedero le grandi riserie del nord Europa che grazie alle importazioni di riso coltivato nelle loro colonie del sud est asiatico si trovarono a trasformare grandi quantità di questo cereale. Non va dimenticato che in questo secolo ci fu l’apertura del canale di Suez aperto appunto nel 1869. Con questo nuovo collegamento “veloce” le navi che venivano in Europa dall’Asia non erano più costrette a circumnavigare l’Africa, il tragitto si riduceva di molto e di conseguenza s’intensificarono le importazioni verso il nostro continente e non a caso,tornando al discorso del riso,si aprirono in quel periodo importanti centri di lavorazione del riso anche in città sedi d’importanti porti come Genova,Livorno e Venezia, ma il riso importato era di tipo indica, leggermente diverso da quello di tipo japonica coltivata nei nostri territori.
Vennero introdotti macchinari come lo sbramino ancora in uso,che toglie la parte non commestibile del riso, altre macchinari che non ebbero poi lunga vita come la grolla che ricorda le macine del mulino o dei frantoi,o un altro strumento che sostituì la grolla fu il brillone che per il suo diverso funzionamento consentiva di lavorare riso in minor tempo. Un discorso a parte va fatto per l’elica, uno strumento creato in Italia e presentato all’esposizione internazionale di Milano del 1884 .Riscosse subito un grande successo e andò a sostituire gradualmente la grolla, il brillone e la stessa pila con pistone. Di questo’ultimo sistema aveva in comune il contenitore in pietra dove si alloggiava il riso. Quello che distingueva ad esempio l’elica dalla pila era il sistema di movimentazione del riso che nella pila era ottenuto tramite la caduta del pistone nel mortaio mentre adesso con l’elica il riso era elaborato tramite una vite d’Archimede che con il suo movimento rotativo costante riusciva a spostare il riso dall‘alto verso il basso e viceversa provocando uno sfregamento che puliva lo ripuliva dagli strati esterni in minor tempo e in maggiore quantità rispetto agli altri sistemi, con il risultato di un prodotto sicuramente migliore sotto tutti i punti di vista. L’elica è utilizzata ancora oggi in alcuni rari casi in un procedimento per far assorbire al riso le sostanze nutritive contenute nella gemma .La gemma è una piccolissima parte del chicco di riso ha un gusto di tostato e al tatto è cerosa, si trova attaccata in quella parte del riso dove nel chicco si è formato un dente a causa del suo distacco che avviene durante la raffinazione. E’responsabile della riproduzione della pianta, da questo punto riparte la nuova vita mentre il resto del chicco formato essenzialmente da amido ha il compito di nutrire la pianticella nella prima fase della sua vita. E’ ricchissima di sostanze nutritive che appunto vengono fatte riassorbire al riso grazie al procedimento dell’elica che girando a velocità moderata riscalda dolcemente il riso fino a 40° circa rendendolo più ricco dal punto di vista nutritivo donandogli un aspetto leggermente mielato e levigato. Questo procedimento era in uso anche in passato ma non si sapeva che rendesse il riso più nutriente. Dopo questa panoramica su quello che era la lavorazione del riso in passato passerò ora ad una descrizione di quello che è oggi il processo di lavorazione in una riseria di medie dimensione.
Il riso una volta raccolto viene stoccato in silos previa un’essiccazione del prodotto tramite il calore,il grado di umidità dovrà essere intorno al 12%. Nel silos rimarrà almeno per circa 4 mesi, in questo modo all’interno del chicco di riso si ridistribuiranno le varie sostanze nutritive che hanno subito uno choc dovuto alla brusca separazione dalla pianta avvenuta tramite la mietitura. Dai silos di stoccaggio viene portato alla riseria dove come prima operazione viene fatta una ripulitura. Il riso grezzo viene fatto passare attraverso una condotta areata dove sono tolte le pagliuzze rimaste dalla mietitura poi attraverso vagli e setacci vengono tolte impurità come potrebbero essere sassolini o grumi di terra, semi di altre piante ed altri eventuali residui fisici che si sono mescolati al risone. Viene stoccato in una tramoggia e poi fatto scendere nella prima macchina chiamata ”sbramino” dove il risone viene fatto passare attraverso due rulli che girano a diversa velocità così da essere privato dalla corteccia esterna chiamata lolla la quale viene espulsa con un getto d’aria,da qui il prodotto ottenuto passa ad un’altra attrezzatura chiamata “separatore paddy” che ha la forma di un grosso cassone che al suo interno è suddiviso in diversi piani sulla cui superficie sono sistemati delle lamine rialzate di forma triangolare. Questa macchina attraverso un movimento ondulatorio fa si che il riso proveniente dal primo sbramino, si separi in modo che quello che non è stato decorticato passi per peso specifico verso la parte alta della macchina per poi ritornare nel primo sbramino per ripetere il processo di sbramatura, mentre l’altro che è stato decorticato, va verso il basso ed è trasferito in un secondo sbramino che completa la pulitura. Da questo secondo sbramino uscirà dopo la lavorazione il riso integrale,che può essere consumato come alimento. Da qui verrà trasferito in una tramoggia dove stazionerà prima di essere mandato nella prima sbiancatrice di una serie . Apro una parentesi per parlare della funzione delle tramogge che sono dei contenitori a forma di tronco di piramide rovesciata dove il riso si accumula prima di essere scaricato nella macchina per la sua ripulitura. Ha una doppia funzione:di costituire una riserva che in caso di blocco di una macchina nella catena lavorazione permette alle altre di continuare a lavorare e la seconda è quella di permettere al riso di raffreddarsi dato il calore che potrebbe avere accumulato durante la lavorazione. Le sbiancatrici sono delle macchine che hanno la funzione di togliere per abrasione i vari strati di tessuto cellulare che avvolgono il chicco di riso. Questa abrasione deve avvenire per gradi in diverse sbiancatrici al fine di evitare eccessive rotture, innalzamento della temperatura del riso in lavorazione e danneggiamenti del chicco di riso come delle vistose rigature. La sbiancatrice ci sono di vari tipi,comunque il funzionamento è simile: un cilindro metallico la cui superficie è ricoperta da uno strato di materiale abrasivo e attorno a questo cilindro c’è una gabbia metallica con tante fessure come una specie di rete. Il riso viene immesso per l’abrasione nell’intercapedine che c’è tra il cilindro abrasivo e la gabbia metallica. Il cilindro metallico gira ad un altissimo numero di giri al minuto mentre la gabbia metallica rimane fissa, in questo modo il riso viene lavorato. Una sbiancatrice molto usata si chiama amburgo dal nome della città dove è stata inventa più di un secolo fa. È costituita da un cilindro rotante abrasivo a tronco di cono rovesciato ad asse verticale, che si trova all’interno di un cilindro traforato a tronco di cono, fisso. Di queste sbiancatrici ce ne sono in successione tre o quattro a seconda del grado di sbianchimento che si vuole dare al riso. Elementi fondamentali per la lavorazione del riso sono i dispositivi di selezione e cernita che entrano in funzione in vari momenti della lavorazione ogni qualvolta il riso ha subito una trasformazione dall’iniziale sbramatura alla fine dopo essere passato dall’ultima macchina di sbianchimento. Infatti, sarebbe nullo il lavoro dei vari macchinari di raffinazione se non ci fossero questi dispositivi di ripulitura che sono costituiti da setacci e vagli con diverse calibrature e forma che consentono di togliere: le pagliuzze, il terriccio, i semi di piante diverse dal riso, nella fase iniziale e poi ancora la lolla frutto del decorticamento, la pula espulsa dalla prima sbiancatrice frutto dello strato aleuronico e la gemma, il farinaccio scarto dell’ulteriore raffinazione del riso e ancora i chicchi i verdi e gessati perché non arrivati a completa maturazione, quelli macchiati dal fungo che può colpire la pianta di riso ma che non è dannoso per l’uomo, rossi perché appartenenti a un tipo di riso selvatico che può crescere insieme al riso convenzionale e quelli spezzati di varie dimensioni. A questi apparati di selezione e cernita “tradizionali” va aggiunta la selezionatrice ottica collocata al termie del processo di lavorazione. Questo sofisticato sistema di selezione consente di togliere una grandissima percentuale di chicchi difettosi che altrimenti andrebbe a finire nel prodotto finto. Ora dopo tutti questi passaggi il riso è pronto per essere confezionato commercializzato e cucinato. Nella stragrande maggioranza il riso per essere venduto è sistemato in confezioni da 1 kilo e per essere conservato oltre che nei sacchetti di cotone o le confezioni di cartone vien messo in sacchetti in sottovuoto o in particolari contenitori in atmosfera modificata o addirittura in lattine metalliche. Questi due sistemi di conservazione garantiscono l’integrità del riso per periodi più lunghi, specialmente nel periodo estivo quando le alte temperature potrebbero alterarlo. Sono giunto al termine e concludo dicendo che per portare a termine il processo di lavorazione del riso, quando le macchine sono a regime, dallo sbramino alla selezionatrice ottica bastano meno di 5 minuti!

Molte delle informazioni per scrivere questo post le ho attinte dal libro scritto da Antonio Tinarelli “Le antiche pilerie italiane e l’industria risiera La raffinazione del riso” edito da edizioni Mercurio.

Un ringraziamento a Roberto Bistolfi risicoltore della Baraggia biellese-vercellese e alla riseria di Rovasenda (vc) della famiglia Tomasoni